rossi elena
Montag, 7. Oktober 2019
Zuletzt geändert: Donnerstag, 31. Oktober 2019
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John Dewey nel suo lavoro Democracy and Education del 1916 suggerisce che la scuola debba essere considerata «laboratorio della democrazia».
Nelle classi ad indirizzo Reform, proprio al fine di “educare alla democrazia” gli insegnanti convocano il Consiglio di Classe.
Il consiglio di classe è istituito a cadenza regolare, generalmente ogni settimana.
I bambini durante la settimana prenotano il loro intervento nel consiglio di classe segnando il loro nome sulla tabella affissa in modo visibile in classe.
Possono intervenire nel consiglio i bambini che hanno prenotato il loro intervento segnando il loro nome sulla tabella apposita.
Segnando il loro nome i bambini decidono se esprimere necessità di intervenire per criticare qualche gesto o momento che hanno subito o che hanno desiderio di porre al centro della discussione, di lodare un compagno per un bel gesto ricevuto o osservato, di domandare o chiedere informazioni o delucidazioni su quanto non si è capito o necessità di essere discusso, o di informare invece il gruppo classe su una novità di cui si vuole fare partecipe la classe.
Durante il consiglio di classe possono essere trattati solo i punti o gli argomenti proposti dai bambini che si sono prenotati.
Gli argomenti sollevati sollecitano una discussione nel gruppo che, qualora sia necessario, è chiamato a votare l’accordo su una specifica questione. L’insegnante al pari dei propri alunni può esprimere con il proprio voto, che vale quanto quelli dei bambini, la sua posizione.
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rossi elena
Donnerstag, 3. Oktober 2019
Zuletzt geändert: Samstag, 9. November 2019
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La scuola attiva ha il merito eccezionale di aver recuperato la dimensione che Dewey definisce bambinocentrica, soggettivistica dell’educazione scolastica.
Una scuola motivante e attenta ad attività che valorizzino il bambino come un soggetto partecipe al suo processo di crescita e di apprendimento e non come un ricettore passivo di nozioni, è una scuola che si deve allontanare sempre più dal metodo trasmissivo che vede l’alunno come un “vaso” da riempire.
E` una scuola che si deve aprire al mondo al di fuori e questo determina la necessità di una sua diversa strutturazione per divenire il luogo della sperimentazione, dei laboratori, dell’apprendere facendo.
Freinet aggiunge a questa caratteristica la dimensione “politica” e porta a passare a un progetto scuola che tiene conto di una molteplicità di variabili: il bambino nella sua soggettività, l’ambiente, la cultura locale, il contesto.
Questo significa mettere al centro dell’educazione l’infanzia, ma un’infanzia che si può costruire solo nel rapporto con gli altri.
Cfr.: Fabbroni F., in Freinet: dialoghi a distanza, Quaderni di cooperazione educativa 19, La Nuova Italia, 1997.
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rossi elena
Donnerstag, 3. Oktober 2019
Zuletzt geändert: Mittwoch, 9. Oktober 2019
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Nel suo lavoro Democracy and Education del 1916 Dewey afferma che la scuola deve essere considerata «laboratorio della democrazia».
John Dewey considera la democrazia non solo una forma di governo, ma una way of life, un modo di essere individuale e sociale, che richiede condivisione di valori, solidarietà, interesse allo scambio di esperienze, impegno a superare gli egoismi e le distanze tra le classi, tutte competenze fondamentali anche in ambito scolastico.
Educare alla democrazia significa sensibilizzare gli studenti alle responsabilità, individuali e sociali; dare loro gli strumenti di apprendimento e di interpretazione del mondo e della vita; portarli a riflettere sui concetti di riconoscimento della diversità altrui.
La scuola dunque oltre a insegnare a sapere deve insegnare a fare ma anche a vivere fra gli altri e soprattutto ad essere in mezzo agli altri e alle loro diversità.
La scuola attiva denominata “scuola laboratorio” che egli fondò nel 1896 pone a suo fondamento l’esigenza che la scuola debba aiutare il fanciullo a formare la sua personalità attraverso occupazioni manuali in una vita di collaborazione con insegnanti e compagni.
La scuola deve aiutare l’alunno a diventare educatore di sé stesso.
Dewey J., Democrazia e educazione, 1916, ed. ital, La Nuova Italia, Firenze, 1949.
Dewey J., Il mio credo pedagogico. Antologia di scritti sull’educazione, Firenze, La Nuova Italia, 1952, a cura di Lamberto Borghi.
Learning by doing nella progressive school di Chicago
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rossi elena
Donnerstag, 3. Oktober 2019
Zuletzt geändert: Mittwoch, 9. Oktober 2019
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Si riporta di seguito un racconto nel quale Dewey, nel 1899, mostrava di aver già colto una questione ancora oggi estremamente attuale
“Anni addietro mi aggiravo per i negozi di suppellettili scolastiche in cerca di banchi e seggiole che fossero più adatti da tutti i punti di vista -artistico, igienico ed educativo- ai bisogni dei fanciulli. Incontrai molte difficoltà a trovare ciò di cui avevamo bisogno, sino a che un negoziante più intelligente di altri uscì con questa osservazione: «Temo che non possiate trovare quello che desiderate. Voi desiderate qualcosa con cui i ragazzi possano lavorare; questi sono banchi fatti solo per ascoltare. Avete in queste parole la storia dell'educazione tradizionale”.
(Dewey J., Scuola e società, La Nuova Italia, Firenze, 1967, pp. 21-22).
Certo non siamo noi i pionieri dell’apprendimento integrato al movimento. Già oltre duemila anni fa, Aristotele e i suoi discepoli, detti “peripatetici”, studiavano gli scritti filosofici attraverso il movimento nel peripatos.
Sappiamo che una scuola che permette ai propri scolari di muoversi liberamente è una scuola in grado di sviluppare sia l’acquisizione delle competenze sia una qualità della vita e un benessere corporeo.
Bisogna per questo ripensare lo spazio, superando la contrapposizione tra aula-banco-apprendimento e spazio aperto-ricreazione.
È inoltre necessario pensare la scuola non più come una sequela di “classi monadi” , fatte di spazi chiusi e monotoni ma invece composta da spazi aperti alla socializzazione e anche alla riflessione individuale, spazi-aula flessibili che si adeguano alle diverse attività didattiche, di laboratorio e di incontro, spazi pensati per la funzione e per gli attori che vi agiscono.
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