blikk1
Lunedì, 18 Gennaio 2016
Ultima modifica: Giovedì, 21 Gennaio 2016
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C’era una volta... un piccolo grillo innamorato di una stellina che appena si intravedeva, talmente era pallida, perduta nella grande lavagna del cielo notturno. Il grillo non se ne curava, e anche se tutti gli altri animali notturni si vantavano di essere corrisposti, il gufo da una cometa, la lucciola da Venere e il pipistrello addirittura dalla Luna, il grilluccio si accontentava del suo minuscolo e delicato astro.
Tutte le notti d’estate aspettava che si affacciasse al davanzale del cielo per cantarle la più struggente delle serenate.
Cri cri cri, mettendosi una zampina anteriore sul cuore. Cri cri cri, alzandosi il più possibile su quelle posteriori e protendendosi nella speranza che lei lo potesse ascoltare meglio.
Nessuno sa se lei lo abbia mai sentito, ha continuato a brillare tenuamente in un punto negletto dell’universo senza dar segni di particolare interesse, accontentandosi di specchiarsi nel piccolo stagno in riva al quale tutte le notti d’estate l’aspettava, elegante nel suo abito da sera, il suo innamorato.
Una notte la stellina esitò più del solito a tramontare, e il grillo attese e attese finchè la luce del giorno cancellò il suo adorato astro.
E così avvenne.
I primi raggi di un sole che lui non aveva mai visto cominciarono a dardeggiare sulla Terra, e lei iniziò a cantare. Sulle prime il grillo non comprese chi potesse avere quella straordinaria e affascinante voce. Socchiuse e strizzò gli occhi non abituati a quella cascata imperiosa di luce e si mise a cercare la sorgente di quel canto. Finchè la vide.
A frinire altera nella luce ormai dilagante era una splendida cicala. Giovane, nel fiore dei giorni, slanciata e sfrontata, affidava al canto la sua gioia di vivere. Per il grillo fu un colpo di fulmine. Folgorato si avvicinò e, d’istinto, cominciò a sua volta a cantare. Cri cri cri! Lei sulle prime non si accorse di nulla. Cri cri cri, intensificò i suoi sforzi il piccolo insetto.
Fu allora che lei lo sentì.
Fri fri fri, rispose. Il grillo si sentì venir meno, per l’emozione e per il calore dei raggi del sole che insisteva a cancellare, implacabile, ogni più piccolo spicchio d’ombra.
Anche quello in cui si rintanava il grillo sulla cui fronte si imperlavano gocce sempre più roventi di sudore. Ma non fece nulla per cavarsi il frac che riteneva dovesse restituire di sè un’immagine migliore agli occhi di lei che, sinuosa e sensuale, ormai intrecciava il proprio canto al suo con un ardito gorgheggio degno del miglior Gesualdo. Fri cri - cri fri fri – fri cri fri!
A un tratto la cicala si voltò, e lo vide, stravolto e grondante, ai piedi dell’ontano su cui friniva. Lui fremette nell’attimo in cui i suoi occhi incrociarono quelli di lei e a quello sguardo di fuoco si sentì incenerire.
I raggi del sole fecero il resto. Un ultimo tentativo di allungare le antennine verso il suo nuovo amore e si sciolse in una pozzangheruccia che scivolò e riempì una fogliolina che, tardivamente, il vento aveva strappato da un ramo perché facesse da parasole al temerario innamorato.
La cicala pianse di dolore e i suoi singhiozzi la scossero per tutto il giorno, trasformando il suo canto melodioso nel singhiozzo stridulo e incessante che tutte le estati riempie l’aria dall’alba al tramonto.
Una notte l’inconsolabile cicala non riuscì a dormire, e quando le stelle salirono oltre la lunga linea dell’orizzonte, pianse un canto struggente. Al quale si unì una flebile canzone altrettanto dolente, proveniente da un angolo negletto dell’universo.
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Favola